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Della scrittura dei testi micenei si occupavano gli scribi, individui di cui purtroppo non conosciamo né il nome, né lo status sociale, ma soltanto il prodotto finale del loro lavoro: i documenti in Lineare B. Infatti, diversamente dagli scribi del Vicino Oriente e dell’Anatolia dello stesso periodo (Seconda metà del II millennio a.C.), quelli micenei non erano soliti firmare le tavolette e gli altri supporti d’argilla, che redigevano per l’amministrazione interna dei palazzi micenei. L’unico elemento che ci consente, ad oggi, di riconoscere gli scribi micenei rimane dunque la loro grafia. L’analisi del modo con cui i diversi scribi realizzavano i segni (ductus) prevede l’osservazione del numero dei tratti, della direzione e dell’ordine con cui furono tracciati, della loro posizione e profondità, e così via, ed è materia d’indagine della paleografia micenea. A volte ragioni esterne come lo spazio a disposizione sul supporto, la velocità di scrittura, le dimensioni dei segni potevano indurre uno scriba a modificarne la forma, creando delle varianti, che rimangono tuttavia una minoranza nella pratica scrittoria di un individuo, riconoscibile grazie alla ricorrenza di caratteristiche grafiche distintive ed esclusive, legate al gesto grafico. A oggi si riconoscono 120 mani scribali micenee: 66 a Cnosso, 26 a Pilo, 15 a Micene e 13 a Tebe, indicate con dei numeri progressivi, sebbene rimangano ancora abbastanza numerosi i testi non attribuibili a scribi noti.

Gli scribi micenei si occupavano non solo della redazione dei testi, ma anche della creazione dell’impaginato del supporto su cui incidevano. Per esempio, realizzavano le linee guida, linee orizzontali parallele incise prima della stesura del testo, in modo da ottenere una registrazione ordinata. Lo studio delle impronte digitali lasciate sul retro e sui margini delle tavolette sembra dimostrare che non fossero gli scribi a formattare, ossia creare, le tavolette e gli altri supporti scrittori d’argilla.

Una volta preparato il supporto, si tracciava il testo, sempre da sinistra a destra e dall’alto verso il basso. Il testo era disposto sempre in modo pressoché uniforme e regolare, con la parte sillabica nella porzione sinistra della tavoletta, seguita dalla sezione logografica, comprendente anche eventuali unità di misura e i numeri (Fig. 1). La maggior parte delle tavolette sono incise su una sola superficie, il recto, mentre raramente riportano segni anche sul retro, ossia il verso (tavolette opistografe) e/o sui margini (tavolette pleurografe).

Fig. 1. La tavoletta Eo 276 da Pilo (1190 a. C. ca.): un esempio di impaginato (rielab. immagina da Calibra)

Lo strumento di lavoro dello scriba era lo stilo, un oggetto lungo e sottile, prevalentemente in osso o in bronzo, come testimoniato dai rinvenimenti di Tirinto, Tebe e forse Midea. Questi mostrano un lato a punta e un altro a lama di coltello, dove la punta serviva per incidere, mentre la parte più larga probabilmente come spatola per lisciare o cancellare la superficie del supporto (Fig. 2). Infatti, durante la redazione di un documento gli scribi potevano incorrere in errori o ripensamenti, come provano casi di correzioni per aggiunta, eliminazione o sostituzione di singoli segni o intere parole, a volte realizzate da scribi diversi. Le cancellazioni (rasure) potevano avvenire con la punta del dito, con l’unghia o con la parte piatta dello stilo, usati per raschiare via l’argilla nel punto da cancellare. Questa operazione doveva realizzarsi quando l’argilla era ancora umida, in modo da poter eventualmente incidere nuovi segni. Le tracce lasciate dai segni cancellati sotto quelli scritti in un secondo momento si definiscono palinsesti (Fig. 3).

Fig. 2. Due stili in osso da Tirinto (da Godart 1988).

Fig. 3. Un esempio di palinsesto, dalla tavoletta Da 1163, Cnosso, XIV sec. a.C. ca (rielaborazione grafica di A. Greco, da immagine RTI dell’archivio del The pa-i-to Linear B Epigraphic Proejct).

L’assenza di firme e sigillature sui testi in Lineare B, nonché di riferimenti alla figura dello scriba nella documentazione micenea non solo scritta, ma anche materiale e iconografica, rendono molto difficile individuare il ruolo sociale degli scribi micenei. Non si sa se fossero stati una categoria professionale specifica, né se l’attività di redazione dei testi li avesse occupati a tempo pieno o part-time, né come avessero appreso la pratica scribale, né se esistessero vere e proprie scuole scribali. La natura amministrativa dei documenti redatti e la quantità relativamente limitata di questi nei palazzi micenei, tuttavia, hanno fatto ipotizzare che gli autori delle tavolette in Lineare B fossero dei funzionari amministrativi. Non si sarebbe trattato, dunque, di una casta scribale che deteneva in modo esclusivo il sapere scrittorio, bensì di un gruppo di individui che da un lato padroneggiava la competenza scrittoria, dall’altro svolgeva attività amministrative connesse con il palazzo e dunque utilizzava la scrittura come strumento per adempiere agli incarichi ricevuti dall’istituzione palatina (Fig. 4).

Fig. 4. Scribi micenei all’opera (copertina del volume di J. Chadwick (da It’s All Greek To Me)

 

Lavinia Giorgi

 

Bibliografia

Del Freo M. (2016c), «Gli scribi micenei», in M. Del Freo – M. Perna (a cura di), Manuale di epigrafia micenea. Introduzione allo studio dei testi in Lineare B, vol. I, Padova, 199-208.

Godart L. (1988), «Autour des textes en Linéaire B de Tirynthe. Ausgrabungen in Tiryns 1982/83», AA 1988, 245-251.

Marazzi M. (2013), Scrittura, epigrafia e grammatica greco-micenea, Roma. (in particolare pp. 60-68).

Palaima T.G. (2010), «Scribes, scribal hands and palaeography», Y. Duhoux – A. Morpurgo Davies (eds), A Companion to Linear B. Mycenaean Greek Texts and their World, vol. 2, Louvain-la-Neuve – Walpole, 33-136.

Shelmerdine C.W. 1988, «Scribal Organization and Administrative Procedures», in J.-P. Olivier – T.G. Palaima (eds.), Texts, Tablets and Scribes. Studies in Mycenaean Epigraphy and Economy. Offered to Emmett L. Bennett, Jr. (MINOS Supp. 10), Salamanca, 343-384.

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