Nel corso dell’Ottocento la presenza di studiosi e archeologi stranieri in terra ellenica si era consolidato a tal punto che, entro la fine del secolo, francesi, inglesi e americani poterono beneficiare di un proprio istituto di ricerca nella capitale. Gli studenti che frequentavano tali scuole non dovevano più accontentarsi della Grecia antica descritta nei libri, potendone finalmente studiare le vestigia e riviverne il paesaggio ancora incontaminato.
Tra i fortunati di questi anni, Harriet Boyd (Fig. 1), una giovane ragazza di Boston approdata (da sola!) in Grecia nel 1896, si aggirava per le strade di Atene in sella alla sua bicicletta, diretta verso l’American School of Classical Studies; minuta ma intraprendente, nessuno poteva sospettare che, di lì a pochissimi anni, avrebbe detenuto più di un primato in ambito archeologico.
Cresciuta in una famiglia di soli uomini ed educata alla passione per i classici, Harriet Boyd possedeva una forte attitudine per la “vita da campo” e seppe dimostrarlo ben prima di raggiungere i suoi successi scientifici. Già nel 1897, infatti, lo scoppio del conflitto greco-turco per l’indipendenza di Creta dall’Impero Ottomano la vide immediatamente coinvolta. Senza troppi indugi la ventiseienne americana decise di supportare l’esercito greco nelle vesti di infermiera volontaria, prestando servizio sul fronte tessalico e guadagnando così l’onorificenza al valore da parte della regina Olga di Grecia.
Dopo aver partecipato anche alla guerra ispano-americana (1898), Harriet Boyd rivolse nuovamente le sue attenzioni all’archeologia. Ai tempi, tuttavia, il mondo non era esattamente a misura di donna e la scuola americana non prevedeva affatto che le giovani studentesse potessero partecipare agli scavi. Il “gentil sesso” veniva indirizzato verso ruoli che evocavano ancora la dimensione domestica dell’ordine e della cura, quali la bibliotecaria o l’assistente editoriale; nel migliore dei casi si poteva aspirare alla catalogazione e alla schedatura dei reperti.
D’altra parte, l’esclusione dallo scavo di Corinto, l’unico allora finanziato dall’American School, non costituì un ostacolo per la fantasia della giovane Harriet, tutt’altro. Era l’alba del nuovo secolo, Sir. Arthur Evans e Federico Halbherr erano in procinto di scoprire i palazzi di Cnosso e Festòs e con essi la cd. civiltà minoica, eppure l’istituto americano non aveva ancora volto il suo sguardo verso Creta. Così, Harriet Boyd alzò oltremodo la posta, chiedendo il permesso di utilizzare i suoi fondi personali per partire alla volta dell’isola e dare inizio ad un nuovo scavo!
Il rifiuto da parte del direttore Richardson non tardò ad arrivare, ma con esso giunse anche la buona sorte:
«Una domenica mattina indugiavo a letto immersa in uno di quei deliziosi sogni ad occhi aperti in cui tutto sembra possibile. Mr. Hogart era ad Atene in vista di imbarcarsi per andare a scavare a Creta. Il piano prendeva forma. Quel pomeriggio andai ad incontrarlo da sola e gli dissi che volevo scavare a Creta. Con mia grande sorpresa non cacciò un urlo a quell’idea ma mi consigliò di andare a vedere. Una settimana più tardi, per mia grande fortuna, Mr. Evans passò in città. Lo incontrai alla British School e anche lui fu incoraggiante.» (Boyd Hawes 1965a, p. 97; trad. Bandini 2003, p. 61)
Il dado era tratto… con tali “referenze” il dir. Richardson diede il suo avvallo. Così, il 12 Aprile del 1900, Harriet Boyd (Fig. 2) sbarcava sull’isola di Minosse con Jane Patten (amica di Boston e biologa naturalista), Aristides Papadias, una guida epirota, e la madre di quest’ultimo, detta Manna, nelle vesti di chaperon delle due giovani studiose; per la prima volta una donna raggiungeva Creta per intraprendere uno scavo archeologico!
Subito il piccolo gruppo si diresse in visita al sito di Cnosso per incontrare Sir. Evans (nel giorno della scoperta del trono!), per poi raggiungere la pianura della Messarà e ammirare la Grande Iscrizione di Gortina scavata da Halbherr. Entrambi gli studiosi indirizzarono Boyd verso l’Est di Creta, il primo riferendosi al territorio di Kavousi, dove lui stesso aveva scavato una tomba geometrica, il secondo citando il sito romano di Hierapetra.
Con questi presupposti e il suggerimento di affidarsi alle indicazioni della popolazione locale, a dorso di mulo mossero verso il golfo di Mirabello (Fig. 3) e raggiunsero il villaggio di Kavousi. Qui, come altrove, gli abitanti erano ben contenti di offrire le loro conoscenze affinché l’avvio di uno scavo potesse coinvolgerli. Così, le indicazioni di un anziano signore che aveva raccolto alcuni oggetti in bronzo, le permisero di individuare diversi siti nella zona, forse tutti appartenenti alla stessa comunità: «la necropoli e il santuario sulla collina più alta, il centro politico sull’altura rocciosa, l’insediamento commerciale vicino al mare» (Fig. 4). Ottenuti i permessi, sull’altura rocciosa ebbe inizio il primo scavo americano a Creta ma, soprattutto, Harriet Boyd passava alla storia come la prima donna al mondo (l’unica per lungo tempo in Grecia) ad aver diretto da sola uno scavo archeologico! (Fig. 5)
La storia continua…
Claudia Palmieri
Per approfondimenti:
Adams A. 2010, «Just like a Volcano», Ladies of the Field. Early Women Archaeologists and their Search for Adventure, Vancouver.
Allsebrook A. 2002, Born to rebel: the life of Harriet Boyd Hawes, Oxford.
Bandini G. 2003, «Un’americana a Creta: l’avventura di Harriet Boyd», Lettere dall’Egeo. Archeologhe italiane tra 1900 e 1950, Firenze, pp. 59-68.
Boyd H. 1901, «Excavations of Kavousi, Crete, in 1900», AJA 5/2, pp. 125-157.
Boyd Hawes H. 1908, Gournia, Vasiliki and other prehistoric sites on the isthmus of Hierapetra, Philadelphia.
Boyd Hawes H. 1965a, «Memoirs of a Pioneer Excavator in Crete», Archaeology 18/2 (June), pp. 94-101.
Boyd Hawes H. 1965b, «Part II: Memoirs of a Pioneer Excavator in Crete», Archaeology 18/4 (December), pp. 268-276.
D’Agata A.L. 2009, «Women Archaeologists and non-Palatial Greece: a Case-Study from Crete “of the Hundred Cities», in K. Kopaka (ed.), FYLO: Engendering Prehistoric ‘Stratigraphies’ in the Aegean and the Mediterranean (Rethymno, June 2-5 2005) (Aegaeum 30), Liège-Austin, pp. 263-271.
Freccero G. 2006, «Nata per ribellarsi. L’archeologia avventurosa di Harriet Boyd», in E. Piccolo e L. Lanza (a cura di), Senecio, Napoli.