La nobiltà minoica faceva sfoggio del proprio rango con sontuosi capi di vestiario. La moda femminile imponeva che il seno, simbolo di bellezza e fertilità non venisse coperto; esso era piuttosto incorniciato da piccoli corpetti semirigidi (Fig. 1), prodotto di raffinate sartorie, che avevano come scopo quello di valorizzare e accentuare le forme e la bellezza delle donne minoiche. Maniche e orli erano decorati e impreziositi da tessuti policromi, di disegno e trama diversa, arricchiti con gioielli e pietre preziose.
La moda esigeva che il vitino delle “giovin signore” fosse stretto, “a vespa” e cinto da ampi perizomi sotto i quali si dipartivano sfarzose gonne a balze colorate (Fig. 2), o gonne in sottile lino o, ancora, eleganti gonne pantalone decorate a scacchi policromi oppure po-ki-ro-o-nu-ka (dal greco poikilonycha) cioè “con decorazioni policrome a forma di unghia”, come avrebbero detto qualche secolo dopo i signori micenei dell’isola. I piedi erano cinti da eleganti calzature, secondo le norme della moda egizia; le mani impreziosite da raffinati gioielli. La dama doveva avere il volto eburneo come le braccia, ma le guance inconfondibilmente «belle», come dirà Omero (Fig. 3).
Per mantenere gli altissimi standard richiesti dalla moda á la minoenne, le amministrazioni dei palazzi cretesi, minoici prima e micenei poi, diedero vita a enormi allevamenti di ovini e ad atelier tessili con centinaia di donne intente alla cardatura, filatura e tessitura della lana. Ogni gruppo era specializzato in un particolare segmento della filiera che portava dalla pettinatura della lana alla confezione delle vesti. Da parte loro, i signori, a fronte di investimenti cospicui, gestiti da efficaci apparati burocratici, riuscivano a organizzare un’industria in grado di trasformare l’unica materia prima reperibile sul territorio cretese, appunto la lana (il palazzo di Cnosso nel XIV sec. a.C. ne produceva 75 mila chili all’anno), in un prodotto di lusso che entrava nel circuito internazionale sotto forma di merci di scambio oppure – come preferivano i “grandi re” del Vicino Oriente – sotto forma di “doni regali”, con una ricaduta, in termini finanziari e di prestigio, enorme.
Alessandro Greco
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