Tra il XIV e il XII secolo è attestata sull’isola di Creta una scrittura, scoperta agli inizi del 1900 da sir Arthur Evans, che veicolava una lingua sconosciuta: tale rimarrà per oltre 50 anni. L’archeologo chiamò questi segni “Lineare B” per l’aspetto lineare e per distinguerli da quelli delle altre due scritture ritrovate sull’isola: il “geroglifico cretese” e la “Lineare A”. In questa fase degli studi la Lineare B era ancora ritenuta una forma di scrittura ignota che trasmette una lingua ignota, da decifrare, dunque.
E infatti primi tentativi di decifrazione iniziarono già con Evans, il quale, a seguito dell’applicazione di un metodo statistico, stabilì che si tratta di un sillabario aperto (ossia un sistema che si serve di sole sillabe aperte come unità minime della fonazione). Lo studioso notò anche che segni simili a quelli ritrovati a Creta si riscontravano in una scrittura sillabica usata sull’isola di Cipro nel I millennio a.C.: il cipriota classico. Sulla base di queste somiglianze, Evans individuò una parola di due sillabe, po-ro, che ricorreva accompagnata dal disegno di una testa di cavallo, un logogramma; il termine fu messo in relazione con il greco πῶλος, puledro. Tuttavia, attribuire i valori fonetici del cipriota classico ai sillabogrammi della Lineare B non portò a risultati convincenti. Come mai? in primis perché segni omografi non sempre sono omofoni: lo stesso simbolo grafico può infatti indicare due suoni diversi. Ma c’è anche un’altra importante discrepanza tra i due sistemi di scrittura: le convenzioni grafiche, adottate dalle due scritture non sono affatto le stesse. Ad esempio, le consonanti finali nel sillabario cipriota sono segnate da una ‘e’ finale silente, cosa che non avviene in Lineare B in cui esse non vengono notate. I gruppi di consonanti sono sciolti usando vocali epentetiche, con consuetudini diverse da quelle riscontrate nel sillabario miceneo. Inoltre, i suoni nasali che si articolano prima di un’altra consonante vengono omessi. Per le profonde differenze con il cipriota, questa strada fu abbandonata, così come l’idea che la lingua celata dalla Lineare B potesse essere greco.
Numerose sono le proposte di interpretazione che seguirono: si pensò a una lingua preellenica, il “pelasgico”, a una lingua legata all’Ittita o a una non indoeuropea, o ancora a un idioma affine all’etrusco. A quest’ultima ipotesi si interessò pure un giovane architetto inglese, Michael Ventris (Fig. 1).
Decisivi furono i contributi di Alice Kober (Fig. 2). La studiosa osservò come nelle tavolette alcune parole si ripetessero uguali tranne che per l’ultimo sillabogramma. Kober riunì le parole simili in gruppi di tre (detti triplette o terzetti): si trattava di termini che dovevano avere lo stesso tema ma diversa desinenza, espressa dal variare dell’ultimo sillabogramma, forse per esprimere i generi maschile e femminile e/o i numeri singolare e plurale.
Nel frattempo, nel 1939, altre tavolette – meno numerose ma con testi più lunghi – vennero alla luce nel sito miceneo di Pilo (Fig. 3-4), nel Peloponneso, dal cosiddetto palazzo di Nestore: si trattava di un archivio solo di Lineare B, il che permise la definitiva distinzione dalla Lineare A.
Fondamentale in questa fase è il lavoro di Emmett L. Bennett Jr., che assegnò un numero progressivo a tutti i sillabogrammi e ai logogrammi permettendo una sistematizzazione del sillabario e una forma di comunicazione condivisa tra gli studiosi. Tuttavia, la strada per la decifrazione non era ancora del tutto spianata.
Un passo fondamentale fu compiuto da Ventris, che, avendo alle spalle un percorso accademico di indirizzo scientifico e l’esperienza della Seconda guerra mondiale, applicò alla Lineare B il calcolo statistico-combinatorio proprio della crittografia. Creò una tabella a doppia entrata (“griglia/grid”), in cui le colonne rappresentavano le vocali e le righe le consonanti (Fig. 5). Qui cominciò a inserire i segni che, dall’osservazione della posizione e della ricorrenza nelle parole della Lineare B, ipotizzava avessero dei rapporti fonetici, pur senza conoscerne l’effettivo suono. Per quest’ultimo, si rivolse al confronto con il Cipriota classico. I segni in comune, seppur pochi, si rivelarono sufficienti, con un pizzico di fortuna, a sostenere l’indagine statistica, andando a suggerire o confermare alcuni valori fonetici ipotizzati. A questo punto, altra brillante intuizione fu quella di lavorare sui toponimi cretesi: tra questi, selezionò ad esempio Amnisos, il porto di Cnosso, a-mi-ni-so in forma sillabica. Cercando nei testi in Lineare B di Cnosso, notò una parola che corrispondeva a tale lettura sulla base della coincidenza grafica dei due segni a cui aveva attribuito il valore fonetico di /a/ e /ni/. Lo studioso ricavò allora anche i sillabogrammi ‘mi’ e ‘so’. Più valori fonetici venivano dedotti, più parole potevano essere lette, e ancora più valori potevano essere inseriti nella griglia.
È il luglio 1952 quando Ventris tenne un discorso in radio in cui dichiarò: “Per molto tempo, anch’io ho pensato che l’etrusco potesse aver costituito l’indizio che stavamo cercando, ma nelle ultime settimane, sono improvvisamente giunto alla conclusione che le tavolette di Cnosso e di Pilo debbano, malgrado tutto, essere scritte in greco, un greco difficile e arcaico, visto che è di 500 anni più antico di Omero e scritto in una forma piuttosto abbreviata; assunto questo presupposto, la maggior parte delle peculiarità della lingua e dell’ortografia che mi avevano lasciato perplesso sembrano trovare una spiegazione logica, e – sebbene molte delle tavolette rimangano incomprensibili come prima – molte altre iniziano improvvisamente ad avere un senso.”
Lo studioso giunse a questa conclusione, benché alcuni elementi ancora contrastassero con il greco per come lo conosceva lui che non era un linguista: dalla trascrizione risultava che i termini per “ragazzo” e “ragazza” fossero ko-wo e ko-wa, /korwo/ e /korwa/ (Fig. 6).
Il caso volle che anche il grecista John Chadwick (Fig. 7) si trovasse ad ascoltare. Fu il composto ku-ru-su-wo-ko a colpirlo perché vi riconobbe il termine χρυσός (oro) e la radice ϝεργ- (lavorare): «colui che lavora l’oro». Non solo, questo composto mise in luce anche la presenza del digamma, scomparso in greco classico, ma ancora attivo in miceneo: trovarono così spiegazione ko-wo ovvero κοῦρος (ragazzo) e ko-wa, ovvero κόρα (ragazza). Chadwick offrì dunque la sua collaborazione a Ventris. L’enigma della Lineare B era stato svelato. I documenti così decifrati dispiegarono i propri contenuti: privi di valore letterario, registrano i dettagli dell’amministrazione del palazzo. Si delineò, dunque, una nuova prospettiva storica: i Micenei, arrivati a Creta, avevano preso potere e il controllo amministrativo, un controllo che esprimevano tramite la Lineare B, inventata a partire dalla scrittura usata dai Minoici sull’isola, la Lineare A. Poté così ufficialmente nascere una nuova disciplina: la micenologia.
Chiara Mancini
Riferimenti bibliografici:
- J. Chadwick, The Decipherment of Linear B, Cambridge 1992.
- J. Chadwick, Linear B and related Scripts, Berkeley 1987.
- M. Cultraro, I Micenei: Archeologia, storia, società dei Greci prima di Omero, 2017
- M. Del Freo e M. Perna (a cura di), Manuale di epigrafia micenea. Introduzione allo studio dei testi in Lineare B, Padova 2019
- Faculty of Classics (University of Cambridge) about Linear B
- Registrazione del discorso tenuto da Ventris in radio (1952), disponibile su Youtube e sulla BBC